Nel pomeriggio freddo e piovoso di ieri il Maestro Vincenzo De Bonis se n'è andato. A lui, persona semplice ed aristocratica, elegante e raffinato artigiano ed artista che ha portato insieme al fratello Nicola, Bisignano nel mondo porgo il mio pensiero. Voglio ricordarlo pubblicando in rete per la prima volta una intervista che mi fece leggere anni fa pubblicata nel 1992 nel libro di Gennaro Cosentino “I primi dell’ultima” edito da Luigi Pellegrini Editore che ringrazio molto per la gentile concessione. Caro Mastro Vincenzo, hai regalato sogni a tanti, conoscerti e frequentarti è stato un grande privilegio. Grazie, mi mancheranno le nostre conversazioni con i lunghi silenzi, la tua ironia e saggezza intelligente frutto di un rapporto profondo e mai banale con la realtà umana.
Vincenzo De Bonis
Liutaio
Vincenzo De Bonis non ha il telefono in casa e per mettercisi in contatto bisogna telefonare ad una cognata che riferisce i messaggi. Se poi lui ritiene importante la chiamata provvede a rintracciare chi lo ha cercato.
Una forma di isolamento, di repulsione per ogni tipo di tecnologia che, insieme alla scienza, è il timore numero uno per De Bonis.
Dopo una serie di tentativi riuscii a prendere l’appuntamento, appuntamento per me, perché il Maestro mi disse subito: “Venga quando vuole, io sono qui...”
Giugno aveva regalato alla campagna i colori più definiti e lungo la strada per Bisignano si alzava dalla vallata un diffuso odore di fieno. Non faceva eccessivamente caldo ma solo quanto bastava per valorizzare gli alberi della piazza principale da parte di alcuni vecchi contadini con la paglietta.
Io non avevo mai conosciuto de Bonis, avevo letto qualcosa sulla liuteria calabrese, di Bisignano appunto, che si tramanda ormai dal 18° secolo.
Nell’Enciclopedia della Liuteria mondiale ai De Bonis è dedicato un notevole spazio e con essi a Bisignano e alla Calabria.
Mi incuriosiva vedere come nasce uno strumento a corda a livello artigianale, artistico, mi interessava molto conoscere l’ultimo di una lunghissima “dinastia” di liutai, l’esempio vivente di qualcosa che scompare, di un’arte e di una tradizione che terminerà con lui.
Ero consapevole dell’importanza che assommava quell’incontro, ero forse emozionato, stavo per conoscere un personaggio che mi avrebbe dato molto sul piano umano, uno dei calabresi più famosi, il più famoso, insieme a Gerardo Sacco, in tutto il mondo.
Non immaginavo che saremmo diventati amici e ci saremmo incontrati ancora.
Nel 1990 Vincenzo De Bonis ha anche vinto ad Aieta il premio “Vicolo d’Argento”, destinato ai personaggi che si distinguono per la diffusione della cultura meridionale nel mondo.
La casa di De Bonis è in una discesa del centro storico, una casa-laboratorio: il laboratorio all’ingresso e poi le stanze.
Mi accolse con un sorriso, mi disse che non è solito rilasciare interviste, che preferisce dare notizie sulla liuteria ma, comunque, con molta gentilezza, mi fece accomodare in una saletta stretta, con al centro un tavolo e quattro sedie e con un armadio antico dove il Maestro conserva i suoi “cimeli”: pergamene, articoli di giornale, tanti, tantissimi dai rotocalchi a quelli più impegnati, lettere di personaggi illustri, fotografie, libri che parlano della liuteria e di lui.
Anzi, della sua famiglia.
Lui è rimasto solo dalla morte del fratello Nicola, a cui era legato in modo forse morboso, Nicola era tutto per lui, tant’è che da allora ha vissuto dodici anni di stasi, di apatia sul lavoro e nella vita.
Più che di una intervista si trattò di una conversazione che rompeva solo appena il silenzio che prevaleva tutt’intorno, senza alcuna distrazione, tranne l’interruzione dovuta all’arrivo della sorella con due tazze di caffé in un vassoio. Un ottimo profumo, ma quando io dichiarai di non poterlo bere, l’anziana sorella non celò la delusione.
Vincenzo, però, riprese subito il discorso, con frasi brevi ma frutto di lunghe riflessioni sufficienti per rendere l’idea sulla integrità, sulla conservazione di certi valori e sulla filosofia di un uomo molto solo. Di un artista.
Quell’intervista è un atto di accusa, tagliente ed inequivocabile nei confronti della solo-cosiddetta “classe dirigente” calabrese, della società di apparenza che sta lasciando finire un’arte secolare.
Piazzare la foto di De Bonis su u calendario pubblicitario della Calabria non è un incentivo, è una beffa.
Una delle tante beffe della Regione Calabria.
Egli accetta tutto, assiste agli eventi con la superiorità tipica degli uomini che hanno conosciuto solo paziente lavoro, con tristezza ama anche ironia.
Riproponendomi di incontrarlo ancora, di scrivere una monografia sulla sua vita artistica, sulla favola di Bisignano, lo salutai dopo qualche ora.
Gli occhi neri molto belli di Vincenzo brillavano di commozione e, come due vecchi amici, ci abbracciammo.
Cosentino: Maestro De Bonis, Lei si considera un artista o un artigiano?
De Bonis: Io penso che per essere artista bisogna essere un buon artigiano, prima artigiano. E poi se sono artista lo devono dire gli altri.
C.: Penso che gli altri lo dicano abbondantemente…
De Bonis: Ah, l’hanno detto i tecnici, i musicisti, i liutologi, persone di alta competenza
C.: Qual è il segreto del liutaio?
De Bonis: Il segreto del liutaio è l’esperienza che consente di fare uno strumento che sia perfetto, che abbia un equilibrio di suoni, un’estensione di suoni, una purezza di suoni. Questa è la liuteria.
C.: Lei suona le chitarre che produce?
De Bonis: Per perfezionare uno strumento, per la messa a punto bisogna sempre saperlo suonare. Tutti i liutai devono almeno saper accordare gli strumenti che creano.
C.: Quanti strumenti ha costruito nella Sua vita?
De Bonis: Io il conto non l’ho fatto. Costruisco strumenti da concerto dal 1950, sono quarant’anni di produzione. Ne ho fatto di lavoro!
C.: Viene molta gente a trovarla?
De Bonis: Abbastanza, di più turisti e poi le persone interessate a questo lavoro.
C.: Si è mai sentito abbandonato o incompreso?
De Bonis: No, né l’una né l’altra cosa.
C.: Conosce altri liutai?
De Bonis: Ci conosciamo un po’ tutti quanti…
C.: Quanti sono in Italia?
De Bonis: In Italia saranno, più o meno…, tre quattrocento persone che fanno questo lavoro
C.: In quali regioni maggiormente?
De Bonis: A parte Cremona, che è il centro quasi universale della liuteria, esistono liutai in tutta Italia; solo in Calabria è una rarità questa attività.
C.: In Calabria c’è solo Lei?
De Bonis: Io parlo di liuteria classica… poi uno strumento ognuno può costruirlo.
C.: Si considera un calabrese importante?
De Bonis: Io mi considero un calabrese che ama la Calabria, il paese, la famiglia e per questo ho dedicato tutta la vita e tutto il lavoro. Penso di avere dato tutto.
C.: Ha molti amici?
De Bonis: Tanti amici, ogni persona che incontro per me è un amico.
C.: Amici veri?
De Bonis: Amici veri, bisogna vedere, solo quelli d’infanzia, di scuola. A parte il fatto che ci conosciamo un po’ tutti qui in paese.
C.: Lei viaggia?
De Bonis: Non ho mai viaggiato, non sono mai stato fuori dalla Calabria, una volta sola a Roma e una volta a Firenze, ma molti anni fa.
C.: Ha prodotto chitarre per personaggi importanti. Per chi?
De Bonis: Io dicevo poco fa che i miei strumenti sono nelle mani di persone, di musicisti… se noi intendiamo importante un musicista, allora i miei strumenti sono tutti nelle mani di persone importanti.
C.: Lei preferisce essere chiamato maestro?
De Bonis: No, io preferisco essere chiamato Vincenzo.
C.: I liutai hanno futuro?
De Bonis: Tutto l’artigianato artistico ha un grandissimo futuro, più adesso che prima.
C.: Pensa che potranno essere sostituiti i liutai?
De Bonis: Da che cosa potrebbero essere sostituiti? Dalla nuova tecnologia, dai suoni riprodotti? Il suono di uno strumento classico è inimitabile.
C.: Qual è la differenza tra una chitarra fatta da Lei (o uno strumento fatto da Lei) e quella fatta in serie?
De Bonis: Lo strumento fatto di liuteria, come dicevo prima, è lo strumento che ha una sonorità che permette a tutti, in un concerto, di sentire il vero suono, che si proietta… Gli strumenti di fabbrica, sempre a corda, o chitarra o violino, sono strumentucci che non dicono niente, sono strumenti per come dire, per uno che inizia, per uno che vuole fare qualche cosa, ma non per…
C.: Le sue chitarre vanno all’estero?
De Bonis: Le mie chitarre sono un po’ in tutto il mondo, come dicevo prima gli strumenti si passano da una mano all’altra e vi sopravvivono…
C.: Ma sono considerati una rarità?
De Bonis: Tutti gli strumenti d’autore sono rari, perché la produzione è quella che è, purtroppo siamo pochi…
C.: Qual è stata la sua più grande soddisfazione finora?
De Bonis: Di soddisfazione particolarmente grande… non saprei, per esempio una mia soddisfazione era quando si faceva un Concorso per liuteria a Roma, Firenze, all’estero, aspettavo il portalettere per le comunicazioni e arrivava la lettera che diceva che avevo vinto, avevo vinto il primo premio.
C.: Ma non è mai andato a ritirare il premio
De Bonis: No, io non sono mai andato.
C.: Perché?
De Bonis: Perché… mio fratello Nicola sì, lui andava molto spesso, andava a Roma, a Firenze.
C.: Ah, Lei non è mai andato. Non Le piace viaggiare?
De Bonis: No! Non mi piace viaggiare.
C.: Non sente l’esigenza di viaggiare?
De Bonis: No.
C.: Quali sono le cose più importanti per Lei nella vita?
De Bonis: Secondo me le cose più importanti della vita sono la moralità, l’onestà, essere una persona che produce qualcosa.
C.: C’è qualcosa che Le fa paura?
De Bonis: Forse questa tecnologia, questa scienza.
C.: Come sente, diciamo, la certezza che dopo di Lei a Bisignano la liuteria è finita?
De Bonis: Con molta amarezza, ecco in questo senso potrei smentirmi con quello che ho detto prima, sono molto dispiaciuto per questo fatto, perché non sono stato compreso dalle autorità, diciamo così, calabresi: qui in Calabria si è più distrutto che costruito a questo livello, a livello di artigianato, di cultura, non si è fatto niente.
C.: Lei non ha mai avuto allievi?
De Bonis: Come dicevo prima il nostro modo di lavorare è stato sempre basato su un rapporto tra padre e figlio oppure tra fratelli.
C.: Estranei nel Suo laboratorio non ce ne sono mai entrati per imparare?
De Bonis: Non ce ne sono mai stati anche perché io non ho un laboratorio, io come vede lavoro in casa…
C.: Anche i suoi fratelli lavoravano in casa?
De Bonis: Sì sì, tutti lì (ed indica la stanza all’entrata della casa).
C.: Qui?
De Bonis: Tutti lì lavoravamo, c’era papà, c’era Nicola, c’ero io e c’era l’altro fratello che aiutava papà…
C.: Quale è stata la Sua più amara delusione?
De Bonis: Di trovarmi a 61 anni e di avere dato tutto senza ricevere niente.
C.: Da chi avrebbe dovuto ricevere?
De Bonis: Non lo so, forse non è questione che avrei dovuto ricevere qualcosa, non sono stato nel mio ambiente ecco tutto, l’ambiente in cui ho vissuto non è il mio.
C.: Si sente come un pesce fuori dall’acqua?
De Bonis: Non è che mi sento come un pesce fuori dall’acqua perché… ma l’ambiente certamente non è stato il mio.
C.: Pensa che se Lei si fosse trovato a Cremona o in un centro più importante…
De Bonis: Se io fossi stato a Cremona sarei stato uno che avrebbe fatto scuola, che avrebbe avuto la possibilità di commercializzare meglio il suo lavoro.
C.: Il fatto che Lei è così apprezzato dai giornalisti, dalla stampa, da tutti, io oggi sono venuto qui per intervistarla ed inserirla in un libro dove ci sono i calabresi più famosi, i personaggi più conosciuti, che effetto Le fa?
De Bonis: Mi fa molto piacere, è una piccola felicità, diciamo.
C.: Qual è il Suo rapporto con Bisignano?
De Bonis: Il mio rapporto con Bisignano certamente non è un rapporto né culturale né artistico, è un rapporto…
C.: Di paese?
De Bonis: Comunissimo, come tutti quanti gli altri, come dire, sono una persona normalissima, come gli altri.
C.: Come La vedono i suoi compaesani?
De Bonis: Ah, io penso che mi vedono con molto rispetto…
C.: Si è mai immischiato con la politica?
De Bonis: No, mai.
C.: Non Le interessa?
De Bonis: Non è che non mi interessa, è che operare politicamente e fare discorsi diciamo così culturali, di musica, di artigianato artistico, non ha senso…
C.: Questi discorsi culturali, di artigianato artistico, di musica con chi li fa?
De Bonis: Ogni tanto con qualche professionista, con qualche allievo di conservatorio.
C.: Qualcuno che viene qua?
De Bonis: Si, con qualche giornalista, come Lei…
C.: E’motivo di vanità per Lei o di soddisfazione il fatto che Bisignano è conosciuta grazie a Lei?
De Bonis: Insomma… Bisignano è conosciuta anche per la liuteria, questo sì.
C.: Ha qualche rimpianto?
De Bonis: Rimpianti no, tranne questa amarezza perché si andrà a chiudere una bottega che c’è dal 1700, ma non è colpa mia perché io ho avuto problemi familiari… spaventosi, io e mio fratello abbiamo lavorato per mandare avanti la famiglia. C’era papà, c’era mamma, c’erano le sorelle, i nipoti, mai abbiamo pensato a noi stessi.
C.: Vuol dire che non è riuscito mai a fare soldi con questo lavoro?
De Bonis: Questo è un mestiere, chiamiamolo mestiere, che no ti permette di fare soldi, come si dice, perché per realizzare uno strumento ci vuole molto lavoro.
C.: In questo allora si è sentito abbandonato?
De Bonis: Abbandonato? Io penso che una persona che ha una professionalità, diciamo, così alta, riconosciuta dagli enti dello Stato e dai privati, ad un certo momento questa persona deve essere pure messa nelle condizioni di insegnare, di fare qualche cosa, di avere diciamo così…
C.: Non ha mai tenuto una lezione Lei?
De Bonis: E a chi la tenevo questa lezione, io non ho mai…
C.: Nelle scuole non l’hanno mai chiamata?
De Bonis: No.
C.: Lei parla bene; ha studiato?
De Bonis: Studiato! Sono andato a scuola, ai miei tempi il massimo era la licenza elementare, non c’erano scuole superiori a Bisignano.
C.: Lei legge molto?
De Bonis: Ma io leggo così… mi piace leggere qualche cosa.
C.: Cosa?
De Bonis: Ma un po’ di attualità, un po’ di storia, non romanzi, a me piace la storia, ecco tutto; e l’attualità.
C.: Pensa che questa liuteria può essere salvata in Calabria, qui a Bisignano, in qualche modo con un intervento?
De Bonis: E’ troppo tardi, perché io fisicamente non sto tanto bene, non mi sentirei di assumermi degli impegni…
C.: Perché non si è sposato?
De Bonis: Come dicevo prima non mi sono sposato per risolvere i problemi familiari, avevano bisogno di me, del mio lavoro.
C.: Con chi vive?
De Bonis: Adesso? Adesso sono io e altre sorelle che sono più anziane di me… Insomma ci siamo nati in questa casa e ci siamo invecchiati.
C.: Ha un personaggio, una persona, nella sua vita a cui è rimasto più legato, che è rimasto di più nella sua memoria, una persona che le ha dato di più?
De Bonis: Ma a livello, diciamo così, affettivo?
C.: Nella vita, complessivamente.
De Bonis: Nella vita è stato Nicola, mio fratello, è stato il mio maestro, è stato il mio amico, è stato il mio compagno…
C.: Era sposato lui?
De Bonis: No, lui non era sposato. Lui non era sposato ed io per non scavalcarlo ho seguito il suo esempio.
C.: Quindi diciamo che era una figura carismatica per Lei.
De Bonis: Era una figura che io rispettavo come maestro, più come maestro che come fratello.
C.: Come trascorre la giornata?
De Bonis: La giornata, quando sono impegnato nel lavoro passa bene. Questo è un periodo un po’ triste per me perché non riesco a concentrarmi bene nel lavoro e quindi passo la giornata malissimo.
C.: C’è un motivo?
De Bonis: Non lo so, non lo so, mi sento un po’ solo, ecco.
C.: Suo fratello da quanti anni è morto?
De Bonis: Undici anni fa.
C.: In questo periodo come mai sente quest’angoscia?
De Bonis: Beh, forse mi trovo di fronte alla resa dei conti e… e mi sento un po’ solo.
C.: Il futuro come lo vede?
De Bonis: Ma… a questo punto credo che il mio futuro sia di sopravvivenza.
C.: E il futuro della Calabria?
De Bonis: Io mi augurerei che il futuro della Calabria fosse migliore in tutti i sensi.
C.: Lei adesso come vede questa Calabria, quali pensa siano i mali peggiori?
De Bonis: Ma non si tratta di mali peggiori o minori; è la guida che manca, l’esempio… Non so… io vedo che c’è gente che no sa fare niente e fa successo, per esempio. E questo mi dà fastidio.
C.: Il successo per Lei cos’è?
De Bonis: Bisogna fare differenza tra successo economico o artistico. Quest ultimo è una cosa importante…
C.: Lei ha rincorso il successo?
De Bonis: Ma io non è che sia andato alla ricerca del successo. Il mio successo l’ho inteso come la possibilità di lavorare e distinguermi nel mio lavoro. Ecco il mio successo.
C.: Ha mai temuto di non riuscire a tirare la vita con questo lavoro?
De Bonis: Ah, io sono stato un soggetto che non ha mai voluto niente dalla vita.
C.: Il denaro per Lei che cos’è?
De Bonis: E’ solo un mezzo necessario per vivere.
C.: E l’amore?
De Bonis: L’amore dovrebbe essere una comunione tra due soggetti. Per me è soprattutto rispetto. Solo questo, rispetto.
C.: Lei si sente amato?
De Bonis: Penso di no. Stimato, ammirato, rispettato sì, ma amato assolutamente no. A parte l’amore familiare, fraterno. Il mio grande amore è stata mia madre che mi ha sempre trattato come se fossi un eterno bambino, sempre.
C.: La vita per Lei che cos’è?
De Bonis: La vita per me è come un arco, una curva che purtroppo è destinata a finire…
C.: E la morte?
De Bonis: La morte è la fine di questa curva ma alla morte sopravvive l’opera delle persone…
C.: Lei ha paura della morte?
De Bonis: No, assolutamente no.
C.: Quale pensa sia il peggiore aspetto degli uomini e quale il migliore pregio?
De Bonis: Io non sono un filosofo, io…
C.: E il suo peggiore difetto qual è?
De Bonis: Io penso di avere solo piccoli difetti…
C.: E il migliore pregio?
De Bonis: Penso che il mio migliore pregio è il lavoro che sono riuscito a fare…
C.: Qual è stato il momento più esaltante della sua vita?
De Bonis: Non un momento ma un periodo e cioè l’adolescenza e poi la giovinezza. L’adolescenza è stata un apprendistato, la giovinezza è stata molto produttiva perché ho lavorato molto…
C.: Il suo primo pensiero la mattina qual è?
De Bonis: E’ difficile dire qual è il primo pensiero perché sono tanti i pensieri, un’enormità di pensieri.
C.: Possiamo dire che per Lei la liuteria corrisponde alla vita?
De Bonis: Certo perché dare voce ad un materiale naturale com’è il legno, dargli una forma, una linea, farne un oggetto bello e sonoro è un vero miracolo. Sono mestieri che hanno una completezza assoluta.
C.: Il Suo rapporto con la religione, con la fede?
De Bonis: Da ragazzo (negli anni ’30 e ’40) per me la Chiesa era una scuola. Il parroco era un padre spirituale. Credo che la figura più importante ed interessante per l’umanità è Cristo.
C.: Viene spesso intervistato? Vengono molti giornalisti?
De Bonis: Do moltissime notizie, interviste mai. Adesso, solo perché ho capito che Lei deve fare un lavoro diverso sto parlando oltreché del mio lavoro anche di me, del mio spirito, diciamo… Ho cercato di rispondere sinceramente, non so se bene o male, come so fare io.
C.: Un’altra domanda: qual è il messaggio che Lei calabrese umile ma conosciuto, vuole lanciare ai giovani?
De Bonis: Il vero messaggio va lanciato agli educatori e ai politici perché siamo in una società dove i ragazzi vengono presi a 3 anni alla scuola materna e vengono portati fino a 15-16 anni alla scuola dell’obbligo e poi tutti alle scuole superiori. Io vorrei che da questa scuole non uscisse gente squalificata ed incapace di ogni cosa. La scuola deve educare oggi, è finito il rapporto del maestro artigiano e dell’allievo, è finita l’epoca dell’artigianato e dell’agricoltura, della pastorizia, siamo nell’era tecnologica è quindi è la scuola che deve formare il suo popolo.
C.: Ai politici cosa rimprovera?
De Bonis: Rimprovero proprio l’errore di non avere creato le strutture e le possibilità per evitare la fine di certi valori…